giovedì 28 giugno 2012

ALBA.Organizzazione e regole per lo Statuto

Organizzazione e regole per lo Statuto
Premessa
Il gruppo di redazione incaricato al Coordinamento Nazionale di Roma, del 12 maggio, composto dai giuristi Ugo Mattei, Luca Nivarra e Alberto
Lucarelli, ha definito una prima bozza di Statuto, sul quale si è deciso di avviare da subito un lavoro di analisi e di proposta.
Uno Statuto non è un atto formale, è molto di più di un manifesto perché dà forma ad un’idea di organizzazione, di relazioni, di funzioni,
iscrivendole in un quadro di principi e valori di riferimento.
Per questo accende e materializza valutazioni anche differenti, come è successo tra i membri del Comitato Esecutivo e poi nel coinvolgimento dei
nodi e di chi ha aderito e nella discussione che è stata davvero, come si auspicava, la più allargata possibile.
A Parma intendiamo focalizzare, a partire dalla bozza e delle osservazioni arrivate, soprattutto (ma non solo) sul Forum, l’attenzione dei tavoli sui
punti “caldi”, su cui dovremo operare alcune scelte, per poi decidere insieme su come proseguire, dandosi tempi certi per la stesura definitiva dello
Statuto.
Giuliana Beltrame, Luca Nivarra e Anna Picciolini hanno ricevuto dal comitato esecutivo l’incarico di tradurre un’impressionante quantità di
contributi in materiale utile per il lavoro ai tavoli. Oltre alla presente scheda (redatta materialmente da Anna Picciolini), che individua i punti “caldi”
e le proposte su cui decidere, è a disposizione dei tavoli un documento di Luca Nivarra sullo Statuto nel suo insieme.
La scelta dei punti definiti “caldi” non vuol negare l’importanza di altri punti (a partire dal Preambolo) che sono stati oggetto di numerose
osservazioni. Abbiamo davanti, dopo Parma, un percorso partecipato di estrema importanza, a cui tutti e tutte potremo partecipare.
A Parma: i punti “caldi”
Tema/punto caldo: titolo Riferimento nello
Statuto (ev. testo)
Proposte alternative (non necessariamente formulate come emendamenti)
Adesione a A.L.B.A
Parte I Art. 2
Adesione individuale
come
tessera / codice
Se non ci sono proposte alternative, proponiamo
:tessera e codice di accesso
possibilità di “doppia
tessera”
Il fatto che sia esplicitamente e solennemente prevista dal Manifesto rende improponibile allo
stato attuale la messa in discussione di questa formula che vuole attuare il principio
dell’
inclusività

ALBA - Soggetto Politico Nuovo Documenti per il PARTY parmense

Ciao a tutti e a tutte,
vi inviamo in questa mail i documenti che saranno oggetto di discussione partecipata con il metodo PARTY
che si svolgerà alla due giorni di PARMA secondo il programma che trovate qui:

Vi inviamo, in dettaglio:

- Il documento di partenza sullo statuto denominato  statuto - doc x lavori a tavoli.pdf
corredato da delle note di Nivarra sulle osservazioni e proposte pervenute in modo che ci sia più agevole una lettura
critica di tutte le proposte.

- i documenti di partenza tematici, così suddivisi:

    > Per un'Europa dei popoli
    > Proposte per un'altra Italia
    > Riconversione ecologica e lavoro

Ovviamente non tutti discuteranno di tutto, non basterebbero di giorni interi solo ai tavoli, ma alcuni argomenti saranno
comuni a tutti i tavoli (ad esempio la discussione sullo statuto) mentre per i temi, in alcuni casi, vi inviteremo a scegliere
quale argomento discutere nella consapevolezza che non tutti possono discutere di tutto, ma nella giornata di domenica
tutti coloro che avranno partecipato potranno pronunciarsi (anche con il voto) su tutti i temi, indipendentemente da 
quale abbiano approfondito al proprio tavolo.

prima di salutarvi vi ricordiamo alcuni link importanti sulla due giorni:

Come Arrivare e dove dormire:
http://www.soggettopoliticonuovo.it/a-parma-lassemblea-programmatica-di-a-l-b-a-del-30-giugno1-luglio/parma-arrivare-dormire/

Per autofinanziarci visitate (anche piccole donazioni sono importanti e possibili con una carta di credito o prepagata tramite paypal)
http://www.soggettopoliticonuovo.it/organizziamoci/autofinanziamento/

staff web ALBA - soggetto politico nuovo

intervento in aula di luisa gnecchi 25.6.12

Marialuisa On. Gnecchi [mailto:gnecchi_m@camera.it] Inviato: lunedì 25 giugno 2012 23.30

intervento in aula di luisa gnecchi 25.6.12

vi mando il link se volete leggere tutto il resoconto della discussione in aula oggi, e il testo intero del mio intervento, dal resoconto in aula, più la parte scritta che ho consegnato, ho dedicato ampio spazio all'intreccio anche storico tra sistema previdenziale e mercato del lavoro e una parte specifica anche alla prosecuzione volontaria, cordiali saluti luisa gnecchi
MARIALUISA GNECCHI . Questa settimana verrà approvato il disegno di legge sul mercato del lavoro come approvato dal Senato; il Presidente Monti ha chiesto di poter arrivare al Consiglio Europeo con la riforma sul mercato del lavoro approvata. In questo modo la Camera non può intervenire sul testo; non siamo ovviamente contenti di ciò, ma accettiamo responsabilmente questa richiesta contando sull'impegno del Presidente Monti di risolvere i problemi che si sono creati con la prima manovra economica di questo Governo, il Salva Italia.
Non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il DM previsto dal comma 15 dell'art 24 del Salva Italia; in quest'aula mercoledì scorso la Ministra Fornero ha riconosciuto che i 65.000 salvaguardati sono una prima parte delle persone che hanno diritto al mantenimento dei requisiti pensionistici previgenti, ci sembra quindi importante ripartire dalla legge n. 214/2011 e dalla legge n. 14 del 2012 (mille proroghe), perché la nostra disponibilità al voto di fiducia e all'urgenza sul provvedimento in discussione è strettamente legata alla soluzione delle ingiustizie che si sono create e che si stanno creando in materia pensionistica. Tutta la manovra Salva Italia per quanto riguarda il diritto a pensione rimarrà nella storia come grande lotteria, come gara di numeri, di cifre, di responsabilità scaricate su altri, ma soprattutto per le differenze Pag. 151 incredibili anche nella valutazione dei risparmi, dei costi, delle previsioni.
Il perfetto contrario di quello che ci si sarebbe aspettati da tecnici; cito solo un esempio, per non cadere anch'io nel balletto : l'atto Camera 4829, il Salva Italia, come è arrivato alla Camera, prevedeva come risparmio per l'abrogazione totale delle quote per poter andare in pensione, (età anagrafica più anni di contributi, che riguardava tutti, pubblici, privati e autonomi) meno di 14 miliardi di euro fino al 2018 (cito la relazione »bollinata« della Ragioneria a pagina 99 dell'Atto Camera 4829). Come è possibile che »solo« 65.000 persone da salvaguardare possano costare 5 miliardi e gli altri eventuali 55.000 altri 4 miliardi ? Sarebbe come dire che se queste 120.000 persone andranno in pensione con i vecchi requisiti, il risparmio fino al 2018 sarebbe di soli 5 miliardi? E per 5 miliardi fino al 2018 si può avere la responsabilità di aver creato 6 mesi di panico, di sfiducia nelle istituzioni, di disperazione ? Di guerra tra aspiranti pensionati ? No, è evidente che i conti non tornano e che bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi e ricominciare ad analizzare e monitorare realmente la situazione. Rimangono gli impegni assunti dal Presidente Monti nel discorso di fine anno nessuno sarà abbandonato e lasciato senza lavoro, senza ammortizzatore sociale, senza pensione. Vogliamo credergli e solo per questo accettiamo anche di votare la fiducia sulla riforma del mercato del lavoro.
Rimane comunque incomprensibile la penalizzazione per le donne: spostare l'età per la pensione di vecchiaia (fino al 31.12.11 requisito 60 anni, dal giorno dopo 62) in modo da creare la rincorsa per cui l'innalzamento è stato repentino, da un giorno all'altro di 5 anni, quando nel 1992 l'innalzamento è stato di 1 anno ogni 2 anni solari, era proprio necessario? Tutto ciò per un risparmio, sempre pag 99 dell'AC 4829, di 157 milioni nel 2013 e 775 milioni nel 2014, crescenti, ma sulla pelle di chi avrebbe goduto entro pochi mesi di una pensione media di 642 euro mensili; perché di questo stiamo parlando, di pensioni basse, che per la singola donna sono un valore inestimabile, ma come risparmio una goccia nell'oceano.
Espongo quindi le seguenti note al decreto ministeriale in attesa di pubblicazione, previsto dal comma 15 dell'articolo 24 Pag. 152 legge 214/2011, si evidenziano le seguenti violazioni in termini di gerarchia delle fonti, qualora dovesse essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale , come da testo su carta intestata del Ministero che sta circolando:
articolo 24, comma 14, della legge n. 214/2011, deroghe con mantenimento dei previgenti requisiti;
lettera a) , lavoratori in mobilità ordinaria a seguito di accordi stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti pensionistici entro il termine del periodo di mobilità;
lettera b) , lavoratori in mobilità lunga per accordi stipulati entro il 4 dicembre 2011; non è corretto che il decreto preveda arbitrariamente la cessazione dell'attività lavorativa alla data del 4 dicembre 2011; la legge prevede la stipula dell'accordo, non la cessazione del lavoro, pertanto si penalizzano tutti quei lavoratori che pur rientrando in accordi di mobilità hanno cessato l'attività lavorativa, in base all'accordo firmato, dopo il 4 dicembre 2011.
Va segnalato inoltre che ad oggi il Ministro del lavoro non ha ancora emanato, nonostante diverse sollecitazioni sia di parte sindacale che politica, il decreto di copertura per i derogati di cui alla legge n. 122/2010, che non rientravano nei cosiddetti 10.000 lavoratori e che hanno il diritto al pensionamento con i requisiti ante legge n. 122/2010. Ad oggi quindi, i lavoratori che maturano il trattamento pensionistico nel 2012, sono senza alcuna forma di reddito; per il 2011 è stato registrato il numero 63655 il 5.1.12, con il colpevole ritardo del Ministro Sacconi; la Ministra Fornero l'aveva firmato a pochi giorni dalla sua nomina; questo le è stato riconosciuto, ma adesso si è in ritardo sul 2012.
Lettera c), lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà (articolo28 legge n. 662/1996 - bancari, ferrovieri eccetera), nonché lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati prima del 4 dicembre, l'accesso ai predetti fondi di solidarietà. In questo caso il lavoratore rimane a carico del fondo fino al compimento dei 60 anni di età. Pag. 153
Il decreto prevede che per i lavoratori che hanno avuto l'accesso al fondo dopo il 4 dicembre 2011, la permanenza a carico del fondo di solidarietà venga portata fino al compimento di 62 anni di età, anziché, come previsto dalla legge, 60 anni, e non pone distinzioni tra chi ha avuto accesso al fondo prima o dopo il 4 dicembre.
Lettera d), lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; non si tiene conto della normativa generale sulla prosecuzione volontaria; l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria vale per tutta la vita. È stato il messaggio legislativo di educazione previdenziale per cittadini e cittadine, stimolo a versare volontariamente i contributi nei periodi di inoccupazione per poter godere in futuro della pensione (una legge efficace, non spot televisivi) a questa categoria di cittadini e cittadine salvaguardati dalla legge. Il decreto impone arbitrariamente, (non essendo previsto dalla legge), che non abbiano svolto attività lavorativa nel periodo successivo all'autorizzazione per la prosecuzione volontaria dei contributi e che abbiano accreditato o accreditabile un contributo previdenziale alla data del 4 dicembre 2011 e che maturino la decorrenza del trattamento pensionistico entro 24 mesi dalla data del 4 dicembre 2011; ciò è previsto dalla legge per chi ha risolto il rapporto di lavoro entro il 31.12.11, ma non per i prosecutori volontari ; non si tiene conto neppure delle deroghe previste dalle norme precedenti ed i cui costi erano già stati valutati nei vari provvedimenti. La legge n. 243/2004, all'articolo 1, comma 8 (modificata dalla legge n- 247/2007) in particolare dispone che gli autorizzati alla contribuzione volontaria entro il 20 luglio 2007 debbano mantenere le disposizioni previgenti in materia di pensione di anzianità ; la norma cioè fa un esplicito rinvio alle disposizioni previste in materia di pensione di anzianità in ordine ai requisiti di accesso (35 anni di contributi e 57anni di età) e in ordine alla decorrenza della pensione (finestra trimestrale). Non c'è alcun motivo per ritenere abrogata questa norma eccezionale. Domanda: se un autorizzato alla contribuzione volontaria ha cessato l'attività lavorativa con accordo individuale secondo quanto previsto alla lettera f), rientra nel numero degli esodati? Gli [e » le«] autorizzati alla prosecuzione Pag. 154 volontaria ante decreto legislativo n. 503/92 mantenevano il requisito contributivo per la vecchiaia con 15 anni ?
Stante l'elevazione dell'età prevista dalla legge n. 214 questi soggetti dovrebbero mantenere la deroga sul requisito contributivo. Il relativo dispositivo infatti non è stato abrogato e trattandosi di norma speciale in deroga, appunto, necessitava di un'esplicita rimozione. In conclusione gli autorizzati alla contribuzione volontaria devono essere stralciati dai limiti previsti per i derogati . Essi devono essere derogati in quanto autorizzati alla contribuzione volontaria per la presente norma, ma anche per le innumerevoli norme prodotte in precedenza. Il numero dei potenziali destinatari può essere elevato, ma non si possono calpestare diritti, senza neppure abrogare o sostituire le norme che li garantiscono o li hanno creati, e si dimostra in questo modo che l'inserimento di questa categoria in un limite di spesa, oltre ad apparire un errore, rende la norma ingestibile per l'ente previdenziale e per il ministero a meno che non si intenda modificare la norma stessa, e non certo tramite decreto ministeriale solo attuativo. È curioso che l'ente previdenziale non abbia posto con evidenza la questione degli autorizzati vista la possibile e diversificata platea, che richiede approfondimenti specifici. Gli autorizzati alla contribuzione volontaria per i motivi più vari (cessazione , aspettativa, part-time, assegno ordinario di invalidità, integrativi agricoli, sospensione, lavoro discontinuo), in assenza di un' esplicita disposizione di legge, mantengono tutti potenzialmente il diritto ad accedere con i vecchi requisiti. Il decreto semmai deve occuparsi di come scaglionare gli aventi diritto nel tempo e non come cancellare tale diritto.
Lettera e) , lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno in corso l'istituto dell'esonero dal servizio di cui all'articolo 72, comma 1,del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni con legge 6 agosto 2008, n. 133; ai fini della presente lettera l'istituto dell'esonero si considera, comunque, in corso qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato prima del 4 dicembre 2011.
Il decreto anche su questo modifica la legge e anziché l'emanazione del decreto pretende che siano già in posizione di esonero dal servizio alla data del 4 dicembre 2011. Pag. 155
Lettera f) , lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412- ter del codice di procedura civile, o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, a condizione che ricorrano i seguenti elementi: la data di cessazione del rapporto di lavoro risulti da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie agli ispettorati del lavoro o ad altri soggetti equipollenti, indicati nel medesimo decreto ministeriale; il lavoratore risulti in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro un periodo non superiore a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011.
Per questa tipologia di deroghe, introdotte con il mille proroghe il decreto prescrive che fermo restando la cessazione del rapporto di lavoro entro il 31.12.2011, non deve esservi stata alcuna successiva rioccupazione in qualsiasi altra attività lavorativa, condizione non prevista dalla legge e che rischia di creare ingiustizie significative.
A tali interpretazioni gravi e restrittive per la platea degli aventi diritto alla salvaguardia dei requisiti previgenti seguono altre criticità che si erano già verificate.
Con la circolare Inps n.35 del 14 marzo 2012 erano già state interpretate le norme in modo restrittivo e in modo non conforme alla legge; la deroga prevista dal comma 14 dell'articolo24 è estesa anche alle lavoratrici che in via sperimentale, fino al 31.12.2015 optano, ai sensi dell'articolo1, comma 9 della legge 23 agosto 2004, n,243, per la liquidazione del trattamento pensionistico di anzianità secondo le regole del sistema contributivo.
Con la suddetta circolare si prevede che lo speciale regime delle donne operante nel periodo 2008-2015, sia consentito solo per coloro che maturano la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31.12.2015 e ciò comporta che potranno fruire della suddetta possibilità già transitoria solo le donne che maturano i requisiti pensionistici entro il 30 settembre 2014, a cui appunto devono aggiungersi 12 mesi di finestra e Pag. 156 3 mesi per l'aspettativa di vita. Occorre ricordare che le finestre di 12 mesi vengono introdotte dalla legge n. 122/2010, articolo 12, solo per i lavoratori e le lavoratrici che accedevano a pensione ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n. 243/2004. Il regime speciale delle donne è disciplinato dall'articolo 1 comma 9 e pertanto fuori dall'ambito di applicazione delle regole di differimento enunciate. Sarebbe sufficiente una interpretazione autentica che chiarisca che alle donne in opzione non si debba applicare la finestra di 12 mesi e neppure la finestra semestrale introdotta dalla legge 243/2004.
Pensione di vecchiaia e requisito contributivo: la legge n. 214/2011 non ha abrogato il decreto legislativo n. 503/1992 che consentiva l'accesso alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi a coloro che avessero maturato almeno 15 anni di contribuzione entro il 31.12.1992 o avessero avuto a quella data l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria o avessero un'anzianità contributiva di almeno 25 anni con almeno 10 anni in cui risultassero occupati per meno di 52 settimane .
Con la circolare di cui sopra l'Inps sembra portare a 20 anni il requisito minimo contributivo per l'accesso alla pensione di vecchiaia senza che peraltro sia mai stato abrogato il decreto legislativo n. 503/1992. Si tratta ancora una volta di una norma speciale in deroga che necessitava eventualmente di un'abrogazione esplicita, non una modifica con circolare.
Mi sembra importante a questo punto richiamare l'intreccio tra la storia del sistema pensionistico e l'andamento dell'occupazione e le regole del mercato del lavoro. Se fossimo in un periodo di piena occupazione lo spostamento in avanti della possibilità di andare in pensione potrebbe risolversi in un periodo di lavoro aggiuntivo; qualcuno si lamenterebbe, ma si potrebbe affrontare. La tragedia è agire sulle pensioni, far cassa sulle pensioni, in un periodo di grave crisi economica, di mancanza di lavoro, quando, quindi, la pensione viene vista come unica speranza per avere un'entrata che permetta di vivere. La riforma degli ammortizzatori sociali era all'ordine del giorno, ma in un periodo come questo ci sarebbe bisogno di renderli universali, di aumentare gli importi e aumentare la durata, perché la pensione possa essere ritardata, perché la Pag. 157 crisi rischia di lasciare troppa gente senza lavoro, senza ammortizzatore sociale e senza pensione e questo non può essere accettato.
Nel 1898 la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si tratta di un'assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch'esso libero degli imprenditori.
Nel 1919, dopo circa un ventennio di attività, la Cassa ha in attivo poco più di 700.000 iscritti e 20.000 pensionati. In quell'anno l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. È il primo passo verso un sistema che intende proteggere il lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare il reddito individuale e familiare. Nel 1933 la CNAS assume la denominazione di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma.
Nel 1939 sono istituite le assicurazioni contro la disoccupazione, la tubercolosi e per gli assegni familiari. Vengono, altresì, introdotte le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto. Il limite di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia viene ridotto a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne; viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell'assicurato e del pensionato.
Nel 1952, superato il periodo post-bellico, viene introdotta la legge che riordina la materia previdenziale: nasce il trattamento minimo di pensione. Lo Stato si rende conto che con la pensione si deve poter vivere e che guerre e difficoltà economiche possono aver portato ad avere contributi insufficienti per una pensione equa.
Nel periodo 1957-1966 vengono costituite tre distinte Casse, per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, per gli artigiani e per i commercianti.
Nel periodo 1968-1969 il sistema retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite, sostituisce quello contributivo nel calcolo delle pensioni. Nasce la pensione sociale. Viene cioè riconosciuta ai cittadini bisognosi che hanno compiuto 65 anni di età una pensione che soddisfi i primi bisogni vitali. Vengono predisposte misure straordinarie di tutela dei lavoratori (Cassa Pag. 158 integrazione guadagni straordinaria e pensionamenti anticipati) e per la produzione (contribuzioni ridotte e esoneri contributivi). È del 1971 anche il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre, n. 1432 che ha riordinato completamente la materia della prosecuzione volontaria, raccogliendo e coordinando in modo organico le norme precedenti e costituisce ancora oggi la norma di riferimento.
Non a caso si tratta degli anni delle grandi mobilitazioni del movimento dei lavoratori e delle donne: è del 1970 lo statuto dei lavoratori, è del 1971 la legge a tutela della maternità che prevede la non licenziabilità delle donne in gravidanza e fino ad un anno dopo la nascita e prevede l'erogazione dell'indennità per maternità; è la dimostrazione che le norme previdenziali si adeguano all'entrata delle donne in modo sempre crescente nel mondo del lavoro. Nel 1977 la legge di parità di retribuzioni tra uomini e donne (ma è ancora lontana, purtroppo, la reale applicazione). Nel 1978 la grande riforma sanitaria, il diritto all'assistenza sanitaria come diritto di cittadinanza e non solo legata al lavoro, all'essere o meno occupato o lavoratore autonomo.
Nel 1980 viene istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Sono affidati all'INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità, compiti assolti in precedenza da altri enti.
Nel 1984 il legislatore riforma la disciplina dell'invalidità, collegando la concessione della prestazione non più alla riduzione della capacità di guadagno, ma a quella di lavoro. Anche questa è stata una grande modifica che ha tenuto conto delle modificazioni nella società e nelle regole del mercato: fino alla legge n. 222/84 si consideravano le condizioni socioeconomiche del territorio in cui il lavoratore, la lavoratrice lavorava e quanto in quel territorio la situazione di invalidità che si presentava riduceva la capacità di guadagno quindi si verificavano le possibilità occupazionali e di reddito con cui avrebbe potuto vivere la persona che si trovava in situazione di invalidità. Il passaggio dal concetto di verifica della riduzione di un terzo della capacità di guadagno alla verifica di possibilità o meno di poter lavorare e nella condizione di inabilità liquidare la pensione come se il lavoratore o la lavoratrice avesse lavorato fino alla maturazione della pensione Pag. 159 di vecchiaia è stata la dimostrazione reale dell'intervento previdenziale in una società in cui il lavoro è il mezzo per poter vivere e che deve garantire anche una vita da anziani e/o da invalidi con una pensione dignitosa.
Nel 1989 entra in vigore la legge di ristrutturazione dell'INPS, che rappresenta un momento di particolare importanza nel processo di trasformazione dell'ente in una moderna azienda di servizi; è stata la prima legge che ha cercato di separare la previdenza dall'assistenza, proprio per poter capire e monitorare costantemente l'equilibrio delle gestioni.
Nel 1990 viene attuata la riforma del sistema pensionistico dei lavoratori autonomi. La nuova normativa, che ricalca per vari aspetti quella in vigore per i lavoratori dipendenti, lega il calcolo della prestazione al reddito annuo di impresa.
Nel 1992 l'età minima per la pensione di vecchiaia viene elevata a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne; per la pensione di anzianità si alza il requisito da 35 anni a 40, ma con gradualità, la gradualità che abbiamo richiesto anche per il salvaitalia.
Nel 1993 viene introdotta in Italia la previdenza complementare, che si configura come un sistema volto ad affiancare la tutela pubblica con forme di assicurazione a capitalizzazione di tipo privatistico.
Nel 1995 viene emanata la legge di riforma del sistema pensionistico (legge Dini) che si basa su due principi fondamentali: il pensionamento flessibile in un'età compresa tra i 57 e 65 anni (uomini e donne); il sistema contributivo, per il quale le pensioni sono calcolate sull'ammontare dei versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa, anche questo passaggio con gradualità.
La Ministra Fornero ha operato una reale riforma strutturale : calcolo contributivo per tutti dal primo gennaio 2012. Su questo si è registrato un consenso unanime, ma sull'abrogazione delle quote altrettanto unanimemente tutti si sono espressi negativamente, tutti gli interventi qui in aula il 20 giugno lo hanno ampiamente motivato. Vanno tenuti in considerazione in particolare gli interventi di esponenti che sostengono l'attuale Governo, ma che sono stati fortemente critici; li cito in ordine di intervento: gli onorevoli Cazzola, Pag. 160 Damiano, Nedo Poli, Muro e il presidente della Commissione lavoro onorevole Moffa; il Governo e la Ministra devono tener conto di queste posizioni.
Nel 1996 diviene operativa la gestione separata per i lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, professionisti non iscritti ad altra previdenza obbligatoria e venditori porta a porta) che fino a quella data non avevano alcuna copertura previdenziale. Questa è stata un'altra dimostrazione molto significativa della capacità del sistema previdenziale di rispondere alle modifiche del mondo del lavoro: non esistevano più solo il lavoro dipendente o autonomo o professionale, ma tante altre forme di possibili lavori e quindi si è creata la gestione separata per permettere a tutti di avere una previdenza pubblica obbligatoria che porti alla pensione!
Nel 2003 sono stati approvati la legge e il conseguente decreto legislativo che hanno dato vita alla riforma del mercato del lavoro, ispirata alle idee e agli studi del professor Marco Biagi, anche se interpretati dal Ministro in carica.
Nel 2004 è stata approvata la legge delega sulla riforma delle pensioni. La maggior parte delle novità introdotte dalla riforma saranno operative dal 2008 , mentre è entrato subito in vigore il provvedimento relativo all'incentivo per il posticipo della pensione.
Nel 2007 viene approvata una legge che modifica nuovamente i requisiti richiesti per l'accesso al trattamento pensionistico e le finestre di uscita dal lavoro. Tra i punti salienti della riforma la revisione automatica dei coefficienti di trasformazione che incidono sul calcolo della pensione e l'introduzione, a partire dal 2009, del cosiddetto »sistema delle quote« in base al quale il diritto alla pensione di anzianità si perfeziona al raggiungimento di una quota data dalla somma tra l'età anagrafica minima richiesta e l'anzianità contributiva; si era già arrivati all'età anagrafica minima, ma si sono salvaguardati i lavoratori che erano in mobilità, in prosecuzione volontaria, con chiare regole!
Nel 2009 una nuova legge di riforma dispone che i requisiti di età per ottenere la pensione vengano adeguati all'incremento della speranza di vita accertato dall'Istat. La diffusione del nuovo strumento dei buoni lavoro per il pagamento del Pag. 161 lavoro occasionale accessorio e nuove norme e sinergie istituzionali rafforzano il ruolo dell'Istituto nel contrasto al lavoro nero e nel recupero dei crediti contributivi.
Nel 2010 vengono adottate ulteriori misure dichiarate »per stabilizzare il sistema pensionistico« a dire il vero già stabilizzato con tutte le riforme precedenti; a conferma di ciò si possono anche rileggere le relazioni annuali del Presidente Mastrapasqua alla Camera sul bilancio annuale dell'Inps. Viene confermato e accelerato il meccanismo di adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita e viene introdotta una finestra »mobile« per l'accesso alla pensione in sostituzione dei precedenti termini di decorrenza, 12 mesi per tutti i lavoratori e le lavoratrici privati e pubblici e 18 mesi per autonomi e chi si ritrovava ad utilizzare la liquidazione della pensione in totalizzazione. La legge n. 122/2010 ha anche reso onerose tutte le ricongiunzioni anche verso l'Inps, ma siamo ancora in attesa di risolvere ciò che era già stato riconosciuto come errore in quest'aula il 27 luglio del 2011.
La prosecuzione volontaria merita una particolare attenzione e va considerata come argomento a sé, la sua istituzione dimostra la serietà di un paese che invita cittadini e cittadine a tener conto che si vivrà anche dopo la fine del lavoro e che si deve pensare alla pensione durante tutta la vita. La possibilità di prosecuzione volontaria è il vero messaggio educativo, non gli spot televisivi che ci sono stati presentati il 29 maggio alla Camera in occasione della relazione annuale sul bilancio dell'Inps; la prosecuzione volontaria è ricordare a cittadini e cittadine che nei periodi di inoccupazione devono pensare alla pensione e versare i contributi; per incentivare questa scelta responsabile verso il futuro la legislazione ha sempre garantito sicurezza e vantaggi a chi si era ritrovato costretto a far domanda di prosecuzione volontaria perché aveva perso il lavoro o per tante altre situazioni particolari e personali che nella vita possono accadere. La prima legge che non ha riconosciuto il diritto alla salvaguardia dei requisiti previgenti è stata la n. 122/2010 che ha applicato a tutti i lavoratori dipendenti la finestra di 12 mesi e agli autonomi di 18 mesi per la decorrenza del trattamento pensionistico dopo la maturazione dei requisiti senza esentare i prosecutori volontari, il salva Italia ha posto tra i salvaguardati chi ha fatto Pag. 162 domanda di prosecuzione volontaria entro il 4.12.11, ma il decreto ministeriale applicativo ha introdotto limiti aggiuntivi non previsti dalla legge; per fortuna il decreto ministeriale non è ancora stato pubblicato quindi forse qualcuno si è accorto che un decreto applicativo deve applicare la legge cui si riferisce e non inventare nuovi requisiti.
La disciplina della prosecuzione volontaria, introdotta nell'ordinamento previdenziale quasi contemporaneamente all'obbligo del versamento contributivo, ha subito nel corso degli anni numerose e profonde modifiche.
Il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1432 ha riordinato completamente la materia della prosecuzione volontaria, raccogliendo e coordinando in modo organico le norme precedenti e costituisce ancora oggi la norma di riferimento.
Le innovazioni più rilevanti introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1432, entrato in vigore in data 1.7.1972, hanno riguardato: l'introduzione del versamento dei contributi volontari a mezzo bollettini di c/c postale, con scadenza trimestrale, in sostituzione del precedente sistema di versamento con marche da applicare su tessere assicurative rilasciate dall'Inps; la completa parificazione dei contributi volontari a quelli obbligatori; la validità dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria sino al momento del pensionamento senza decadenza dall'autorizzazione concessa in caso di mancato versamento dei contributi volontari.
La Legge 18 febbraio 1983, n. 47, entrata in vigore il 12.3.1983, ha modificato i requisiti per il rilascio dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria e ha sancito il principio che non consente di effettuare i versamenti volontari per i periodi durante i quali l'assicurato è iscritto ad una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi ovvero a casse od enti comunque denominati che gestiscono forme di previdenza per i liberi professionisti.
Il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184, entrato in vigore in data 12.7.1997, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, contiene le norme che attualmente disciplinano i requisiti per la prosecuzione volontaria. La nuova disciplina, Pag. 163 peraltro, come espressamente previsto dall'articolo 9 non si applica alle domande presentate in data anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo.
Il decreto legislativo n. 184/1997 ha esteso le disposizioni prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1432/1971 e dalla legge n. 47/1983 ai lavoratori iscritti: ai fondi sostitutivi ed esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria, abrogando in tal modo tutte le norme che disciplinavano la concessione dell'autorizzazione ai versamenti volontari nei singoli Fondi; alla gestione separata introdotta dall'articolo 2, comma 26 della legge n. 335/95.
Il decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278, disciplina i requisiti per il rilascio dell'autorizzazione alla prosecuzione volontaria, integrando e modificando quanto già previsto dal decreto legislativo 30 aprile 1987, n. 184.
Improvvisamente sembra che tutta la significativa storia della prosecuzione volontaria con l'elevato significato di sicurezza sociale che ha sempre rappresentato sia messa in discussione da un decreto ministeriale che non rispetta neanche la legge di cui dovrebbe essere applicazione.

Rete dei Comitati Esodati e Mobilitati

Il COMITATO ESODATI E LAVORATORI PRECOCI d’ITALIA, insieme agli altri Comitati della
Rete dei Comitati Esodati e Mobilitati
a fronte dell'attività del Comitato ristretto della Commissione Lavoro della Camera sulle deroghe alla riforma delle pensioni,che si incontra oggi e la prossima settimana, per discutere di 3 proposte di legge sugli ESODATI, invia il comunicato con oggetto:
ANCHE LA RETE DEI COMITATI AL TAVOLO COI PARLAMENTARI!!!
Contatti:
Claudio Ardizio -      claudio.ardizio@libero.it                 (COMITATO ESODATI E PRECOCI D’ITALIA)     329 4206516
Contatti altri comitati con n di celll : sul comunicato
COMUNICATO AI  PARLAMENTARI e ALLA STAMPA
 ANCHE LA RETE DEI COMITATI AL TAVOLO!!!

Roma, 27 giugno 2012. La Rete dei Comitati di Mobilitati ed Esodati, a valle delle audizioni in Parlamento della Ministro Fornero e dell’impegno personale solenne del Premier Monti per la soluzione del problema dei cosiddetti “esodati” e dopo aver analizzato le informazioni contenute nelle tabelle e nella relazione della stessa Ministro Fornero ritiene che il governo sia lontano dal poter trovare un’equa soluzione, anche perché le tabelle fornite mostrano gravi lacune e contraddizioni, che chiunque può verificare con un’attenta analisi, facendo presumere ancora dati inattendibili e volendo escludere una loro manipolazione.
Nella consapevolezza che il Parlamento sta discutendo una proposta denominata “Damiano” integrata con proposte dell’Italia dei Valori e della Lega Nord, la Rete dei Comitati afferma con forza il proprio diritto di controparte poiché nessuna norma potrà passare in danno di alcuno dei “colpiti” dalla devastante riforma Fornero, oramai disconosciuta in Aula da tutti i Gruppi Parlamentari.
Pertanto, ribadendo la piena responsabilità dei Gruppi Parlamentari che hanno a suo tempo dato voto favorevole a questa riforma, per più aspetti  “illegale”, “iniqua”e “incostituzionale”, ma riconoscendo adesso a tutti i Gruppi Parlamentari, avendolo affermato in Aula, la volontà di eliminare i “mostri” generati,
 RICHIEDE
un confronto diretto dei Parlamentari con la Rete dei nostri Comitati, affinché nessuna legge passi sopra le teste dei soggetti coinvolti.
La base di qualsiasi discorso in merito è che i diritti non possono essere toccati e che il loro ripristino, per via legislativa, non potrà che essere considerato, nella sostanza, come “minor risparmio” ottenuto dalla riforma Fornero e MAI come “nuova spesa”!!
Invitiamo perciò i Capigruppo Parlamentari a incontrarci al più presto per un leale confronto.
  Contatti:
Claudio Ardizio - claudio.ardizio@libero.it  3294206516 (COMITATO ESODATI E PRECOCI D’ITALIA)
 Fanio Giannetto -    mobilitati.roma.napoli@gmail.com                        COMITATO MOBILITATI ROMA E NAPOLI)
Maurizio Vitale -     comitato.mob.milano@gmail.com                         (COMITATO MOBILITATI MILANO)
Alessandro Costa - alessandro.costa@alice.it                                      (COMITATO DIRIGENTI ESODATI)
Luigi Lacchini -       famlac.80@gmail.com                                          (COMITATO MOBILITATI LODI)
Claudio Nigro -      comitato.degli.esodati.bancari@gmail.com            (COMITATO ESODATI BANCARI)
gruppo.esmol@gmail.com                                     (DONNE ESODATE.MOBILITATE.LICENZIATE)
Emilio De Martino - d.emilio@fastwebnet.it                                         (COORDINAMENTO ESODATI ROMANI)

mercoledì 27 giugno 2012

Il Lavoro: esperienze e nuove forme di lotta


Il Lavoro:  esperienze e nuove forme di lotta


Col presidio Jabil/Ex Nokia/Siemens  di Cassina De Pecchi   e Luigi Brambillaschi   stiamo organizzando  un prossimo incontro serale che si terrà questa volta a Inzago  , grazie al patrocinio dell’amministrazione  comunale ,   presso il Centro culturale De Andrè   e la data dovrebbe essere confermata   già  per il 16 luglio .
Il tema in particolare che vorremmo approfondire e con cui  aprire un confronto  è proprio quello  delle  esperienze e  delle nuove forme di lotta” per difendere  la propria fabbrica e il proprio posto di lavoro  perché  come ho potuto riscontrare la forza di queste lavoratrici e di questi lavoratori   è proprio nel non aver abbandonato la fabbrica e il territorio  e questo è il messaggio che urla forte nell’aria  quando si va  a trovarli  e in questo senso molto possono fare le Istituzioni  e le forze politiche del  territorio .

Così come ce lo ha spiegato bene Anna Lisa Minutillo  all’incontro  del 12 giugno scorso  a  Melzo,    quando ci  spiega con  quanta  determinazione  le operaie  della Jabil  costituiscano  una risorsa fondamentale   di questa lotta  e ci racconta di   come lei  e  tutti i colleghi si stiano  prendendo  “cura”  dell’azienda , tenendola pulita  e di come  stiano continuamente pensando  a  soluzioni  diverse  per rilanciare l’azienda  , proprio come  ha fatto l’ Innse   che per loro resta un importante modello  di  riferimento  in tal senso  .   

L’Innse  , un’esperienza di lotta la cui rilevanza va molto oltre i confini geografici e settoriali più immediati che la caratterizzano. Si tratta del caso dello stabilimento Innse, salito più volte all’onore delle cronache , in particolare per l’iniziativa di autogestione avviata dai lavoratori della fabbrica, unica nel suo genere negli anni più recenti, e per i successivi interventi delle forze dell’ordine a sostegno del padrone Silvano Genta. Al di là delle cronache è però tutta la vicenda Innse nel suo complesso che, in particolare in questo momento, è diventata emblematica della posta in gioco a Milano, tra conflitti di lavoro e speculazione edilizia

Parlando  ancora ieri con Roberto Malanca  ,  Responsabile RSU della Jabil /Ex Nokia  si rifletteva  di come sia importante  comunicare   e  confrontarsi  sulle forme di lotta  perché   si possono  evitare  molti errori  a danno dei lavoratori  ,  in quanto  “costituire  un presidio”   e  tenerlo attivo per molto tempo  fino a quando  non si risolve concretamente la vertenza in atto   è qualcosa che si impara dall’esperienza  e  da chi  è riuscito  a mantenere desta l’attenzione  sulla propria  lotta  in maniera  pacifica e determinata  con  quella  competenza e sapienza  , quasi di tipo artigianale,   elementi  importantissimi  di cui essere orgogliosi   e che in effetti  si coglie  nel modo di porsi e di essere  dei nostri  lavoratori  della Jabil  .
Non dimentichiamo  che spesso  il livello di consapevolezza   di queste lotte e in questi presidi  è  molto alto ( es . come la INSSE)   proprio  nel  proporre  la realizzazione  di  nuovi  progetti interni guidati dai lavoratori  e che possono attuarsi con dei finanziamenti  , da parte dei comuni ad esempio,    e inoltre   solo così si  continua a sottolineare  l’importanza   e il  perché la fabbrica  costituisca  un patrimonio  collettivo  e sociale .

La  Jabil/Ex Nokia/Siemens   è  una fabbrica “esempio”  per tutti  noi  ,  alternativa alla logica  “dell’ognuno pensi per se”  e   ci interroga  tutti  e  con   forza  sul fatto  che il territorio non è indipendente dalle fabbriche  e da chi ci lavora .

Stefania Cavallo    27 giugno 2012

Parma- 30 giugno 1° luglio- ALBA IN 2 GIORNI

Parma- 30 giugno 1° luglio
ALBA IN 2 GIORNI
 
 
 

2013, un nuovo inizio – Marco Revelli (Il Manifesto)

Non dimentichiamola troppo in fretta, la lezione greca. Ancora la scorsa domenica mattina il mondo – non solo l’Europa – sembrava appeso al voto di quella decina di milioni di elettori greci chiamati a scegliere tra la vita e la morte. Con i nostri quotidiani “indipendenti”"a spiegarci, senza pudore – producendosi in un falso plateale – che ad Atene si sceglieva tra l’Euro splendente e la miserabile dracma. E la stampa finanziaria a disquisire di computer dei broker globali puntati sul fatidico “sell” che, in caso di vittoria dei “nemici dell’Europa”, avrebbero scatenato l’opzione fine del mondo dando inizio a una tempesta di vendite sui titoli di Stato dei paesi deboli (come il nostro), mentre in caso contrario il “buy” avrebbe polverizzato lo spread… e salvato il mondo! Abbiamo visto persino i virtuosissimi governanti di Berlino tifare scompostamente – alla faccia dell’intransigente etica protestante germanica – per quegli stessi politici di “Nuova democrazia” che appena qualche settimana fa accusavano (a ragione) di aver truccato i conti sul debito greco.
Così fino, grosso modo, alle 23 del 17 giugno. Poi, dalla mezzanotte, tutto è cambiato. Archiviata la vittoria degli amici dell’Europa, l’Europa ha voltato pagina (e spalle), come se nulla fosse stato: lo spread ha continuato a ballare sul filo dell’insostenibilità; la retorica dei compiti a casa è tornata a dominare a Berlino; i rischi per la zona euro hanno continuato a caratterizzare le esternazioni degli eurocrati di Bruxelles, i favori alla Grecia virtuosa sono passati in cavalleria.
Mentre i mercati, semplicemente, con un colpo di pinna e un nuovo arrotar di denti, spostavano un po’ più a ovest il tiro, mettendo nel mirino le banche di Madrid e, di rimbalzo, i conti di Roma… Non gli basta mai, verrebbe da dire… La distruzione distruttrice dei mercati (Schumpeter è lontano, quasi quanto Keynes), unita al default della politica su scala globale, procede su un piano inclinato in cui non sono previsti punti di rimbalzo. Non c’è decisione di popoli o di governi che tenga: indifferente a tutto, la trasformazione per via finanziaria di tutto ciò che è solido in materia gassosa (in ricchezza astratta) procede, inarrestabile, lasciando dietro di sé – come l’angelus novus di Benjamin – un panorama di macerie. I greci, alla fine, col loro voto ossequiente, si sono guadagnati un altro anno di vita da spendere al lavoro (e a svenarsi) per pagare ai propri creditori internazionali – in primis alle banche globali che hanno rischiato sul loro debito – interessi a due cifre, esattamente come le pecore di Trasimaco, allevate dai propri pastori per esser tosate ad ogni stagione, prima di farne carne per i banchetti rituali.
Tutto questo l’abbiamo capito già lunedì scorso. Ma non è l’unica scoperta (o conferma) del dopo-voto greco. Tra le pieghe della trattativa in punta di fioretto di questa densissima settimana – soprattutto dallo scambio di messaggi (più o meno subliminali) sulla proposta dei mini eurobond avanzata da Monti – abbiamo imparato per esempio un’altra verità sulla vera natura delle istituzioni finanziarie internazionali, e sul modo in cui i loro stessi fautori e supporters le percepiscono. Ce la rivela la tenace resistenza. opposta da tutti i governanti coinvolti, ad accettare formalmente gli aiuti del Fondo Salva-Stati. O a concepire soluzioni che facciano scattare il meccanismo che pone i beneficiati sotto il controllo della cosiddetta Troika. Che cosa significano i lampi di terrore che s’intuiscono dietro gli occhiali del nostro presidente dei consiglio, il vade retro satana stampato sul volto di Rajoy, se non il fatto che, nello stesso cuore della governance europea, le ricette dell’inevitabile Memorandum che seguirebbe all’aiuto sono considerate mortali. Sanno benissimo, evidentemente, che quelle condizioni – le stesse, appunto, che in meno di un biennio hanno condotto la Grecia sull’orlo del medioevo, e che continuano a figurare nei manuali del Fondo monetario internazionale e della Bce – portano alla morte sociale i Paesi che sono costretti a sottomettervisi. Sono consapevoli – pur avendo contribuito a fissarne i codici di comportamento e pur aderendovi ideologicamente – che la Troika – come le Gorgoni del mito – trasforma in pietra chi ha la sventura di doverla guardare negli occhi…
La verità, sempre più evidente a tutti, e tuttavia non detta da quasi nessuno, è che dentro quel paradigma – dentro il paradigma che domina a Francoforte e a Bruxelles e che non trova oppositori significativi in quasi nessun parlamento nazionale – non c’è soluzione possibile. La crisi può essere protratta, dilazionata, controllata temporaneamente, ma non risolta. «Ad Kalendas graecas soluturos» dice Svetonio che fosse solito ripetere l’imperatore Augusto… – «i debiti saranno saldati alle Calende greche» – per indicare una dilazione all’infinito, dal momento che i greci non possedevano il concetto romano delle Calende (il primo giorno del mese, quello in cui si era soliti onorare le promesse). Lo stesso vale per la promessa europea della ripresa dopo il purgatorio del rigore. Dentro questo modello – che orienta la metafisica influente dell’establishment politico e finanziario europeo – la soluzione verrà… alle Calende Greche. O, per dirla nella lingua della Merkel, «Zu dem juden Weihnachten»: al «Natale ebraico».
Di questo, sono convinto, ci si dovrebbe preoccupare in primo luogo quando si ragiona sul nostro 2013, se si vuole collocare il problema politico del nostro Paese nella sua dimensione effettiva (che è alta, da «grande politica», direbbe Tronti), e se vogliamo sottrarci al provincialismo un po’ umiliante dell’attuale dibattito sulle primarie (di partito o di coalizione o di programma, con la foto di Vasto strappata o rappezzata, con Renzi o senza Renzi, e via degradando…): della necessità di “pensare” un paradigma alternativo a quello che domina oggi in modo totalitario – con il totalitarismo finanziario che caratterizza l’epoca – l’orizzonte europeo. Non l’alternativa triviale tra stare dentro o uscire dall’Europa – che è il modo con cui i nuovi totalitari ci impongono la loro immagine del mondo come l’unica concepibile – ma in quale Europa vogliamo stare. E del come difendere il modello sociale europeo – l’unico miracolo, in fondo, ascrivibile al nostro continente dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale – dalla devastazione che i governanti europei ne hanno prodotto nell’ultimo biennio. E neppure – voglio aggiungere – l’alternativa misera tra la difesa dell’Euro o il ritorno alla moneta nazionale (lasciamola a Berlusconi…), ma al contrario in quale moneta europea stare, come renderla compatibile con la difesa del sistema di garanzie sociali congruenti con un’idea accettabile di società giusta, come ripensarla, dal momento che questo euro (che non è l’unico euro concepibile) non funziona.
Questo significa, non c’è dubbio, porsi fuori dal quadro di compatibilità che costituisce il dogma dell’Europa attuale (e della politica italiana prevalente). Rompere con la logica dei Memorandum, effettivi o minacciati. Anzi, porre la rottura di quella logica (e la sua ri-negoziazione collettiva, in solido con un fronte ampio di paesi) come discriminante irrinunciabile per qualsiasi progettualità condivisa e per qualsiasi politica delle alleanze. Su questo non sono più possibili illusioni: se neppure il professor Mario Monti, che è uno di loro, che ne gode della fiducia come solo tra sodali è possibile, e che ne conosce ogni piega del carattere, ogni dettaglio del linguaggio, non è riuscito finora a spostare neppure di un millimetro l’intransigenza tetragona dei campioni della tripla A, da Angela Merkel a Olli Rehn, questo significa che i margini di manovra stanno a zero, o quasi. Che se anche in un qualche vertice europeo si riuscisse a strappare qualche punto a nostro vantaggio, questo ci consentirebbe tutt’al più una dilazione, ma non una soluzione. E che se si vuole sperare di uscirne vivi, bisogna pensare, rapidamente, in termini culturali in primo luogo, e nella sua articolazione politica, un paradigma alternativo che non si esaurisca nella finanza ma coinvolga una visione ampia e altra.
Qui non si tratta di primarie. Si tratta di strategia (ed eventualmente di tattica). Come e con chi (e a quali condizioni) avviare un processo costituente che abbia il peso e la consistenza dell’alternativa allo stato di cose presente. Quando Syriza avviò il proprio percorso verso la sfida elettorale, non si presentò alle primarie con il Pasok e Nuova democrazia. Tracciò una linea netta con la parte corrotta del quadro politico e con i segmenti falliti dello stesso passato dell’intera sinistra greca (compreso il proprio). Pensò, davvero, a un nuovo inizio.
Il nostro 2013 sarà, inevitabilmente un nuovo inizio – se non altro perché i tecnici scadono dal loro mandato. Tanto vale prenderlo sul serio, e lavorare fin da ora al programma di una progettualità politica che sia davvero, e senza mascheramenti, nuova. Nei contenuti, nelle alleanze, ma anche nelle forme, nel modo di interpretare la propria vocazione politica, e la natura della rappresentanza. Alba incomincerà questa riflessione il prossimo fine settimana a Parma, sapendo che non c’è tempo da perdere. Che almeno l’avvio di questo processo non può essere rinviato… alle Calende greche.
 
 
 

L’assemblea di alba. Lavoro e stato sociale, contro il governo Monti – Alberto Lucarelli (Il Manifesto)

L’assemblea programmatica di Alba (Alleanza Lavoro, Beni comuni, Ambiente) in programma sabato 30 e domenica 1 luglio al Teatro Due di Parma, rappresenta un momento importante per la costruzione di un un’alternativa reale all’attuale sistema politico, al fine di uscire dalla crisi economica e democratica e di porsi in netta e chiara contrapposizione al liberismo politico, economico e sociale di Monti. In tal senso la scelta della città emiliana è significativa in quanto luogo-simbolo del crollo del sistema dei partiti e delle loro alleanze, con la necessità di costruire nuove forme e contenuti per ritrovare la passione della Politica.
L’affermazione della sinistra anti-liberista in Grecia e del Front de gauche alle presidenziali francesi indicano l’esigenza, in contrasto con il memorandum imposto dalla Troika europea, di riportare al centro del dibattito politico i temi del lavoro e dello Stato sociale. La crescita dei consensi a Syriza è un segnale importante per i governi europei, che hanno sacrificato sull’altare della crisi le garanzie del lavoro e la tutela dello Stato sociale. Come ci indica anche il voto francese, la coesione europea deve ripartire dai territori, dai beni comuni e da una politica inclusiva dei diritti di cittadinanza per il rilancio di un’Europa basata sul lavoro, sulla solidarietà e sulla giustizia sociale.
Per questa ragione a Parma sarà centrale il confronto sullo Statuto di Alba, un percorso iniziato il 28 aprile a Firenze e proseguito con assemblee in tutti i nodi territoriali italiani. Lo Statuto è il naturale sviluppo del Manifesto per il soggetto politico nuovo, che ha alimentato il dialogo tra chi, singoli e movimenti, si riconosceva nei suoi punti fondativi. Con l’assemblea programmatica vogliamo dare forma ad un’idea, realmente democratica e inclusiva, di organizzazione, di relazioni e di funzioni, iscrivendole in un quadro di principi e valori di riferimento. Alba, ponendo al centro del proprio percorso il senso della partecipazione democratica, intende dare piena attuazione ai principi costituzionali, coordinare e contribuire a organizzare lo sforzo di quanti partecipano alle vertenze politiche dai comitati, dai movimenti, dal più piccolo dei Comuni sino all’Ue. Per questa ragione Alba vuole, attraverso un’azione politica responsabile, fronteggiare e rovesciare i processi in atto di distruzione dei diritti del lavoro, di privatizzazione e distruzione dei beni comuni e di aggressione alle risorse ambientali, rilanciando i temi dei referendum del 12 e 13 giugno 2011, reagendo alla “violenza normativa” del governo Monti, lottando per un’altra Europa libera dallo scacallaggio posto in essere dal Fiscal Compact. Nell’agenda di Alba, inoltre, anche la proposta di una legge popolare che salvi il patrimonio pubblico dalla vendita forzata e dagli illegittimi processi di sdemanializzazione.
Alba, valorizzando il metodo democratico prescritto dalla Costituzione per contrastare una tecnocrazia affidata a oligarchie ristrette, che da anni espropria le prerogative della sovranità popolare, punta all’affermazione di una nuova classe dirigente capace, meritevole e disinteressata al tornaconto personale. Una trasformazione che sia in grado di ridare rappresentatività politica ai temi del lavoro, della tutela dell’ambiente, della parità di genere e dei diritti sociali.
Ne parleremo a Parma, condividendo una nuova pratica della democrazia e del confronto con tutte le forze antiliberiste, come strumento di rinnovamento della società e dell’economia, per ritrovare una dimensione politica, per costruire una nuova egemonia insieme a tutte le altre forze politiche e sociali che sollecitano l’urgenza di un cambiamento radicale

lunedì 25 giugno 2012

Luciano Gallino - CREARE DIRETTAMENTE UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO

Creare direttamente un milione di posti di lavoro
Alleanza per il Lavoro, Beni comuni, Ambiente
1)Istituire un’Agenzia per l’occupazione simile alla Works Progress Administration del New Deal americano (works = opere pubbliche). L’Agenzia stabilisce i criteri di assunzione, il numero delle persone da assumere, il livello della retribuzione, i settori cui assegnarle. Le assunzioni vengono però effettuate e gestite unicamente su scala locale, da comuni, regioni, enti del volontariato, servizi del lavoro, ecc.
2)Per cominciare si dovrebbe puntare ad assumere rapidamente almeno un milione di persone. Poiché tale numero è inferiore a quello dei disoccupati e dei precari, occorre stabilire inizialmente dei requisiti in cui i candidati dovrebbero rientrare. Un requisito ovvio potrebbe essere l’età: p. e. 16-30 anni, oltre ovviamente alla condizione di disoccupato o precario.
3)L’Agenzia offre un lavoro a chiunque, in possesso dei requisiti richiamati sopra, lo richieda e sia in grado di lavorare.
4)Le persone assunte dall’Agenzia dovrebbero venire impiegate unicamente in progetti di pubblica utilità
5)Finanziamento. Nell’ipotesi che ogni nuovo occupato costi 25.000 euro, per crearne un milione occorrono 25 miliardi l’anno (la maggior parte dei quali rientrebbero immediatamente nel circuito dell’economia). Si può pensare a una molteplicità di fonti: fondi europei; cassa depositi e prestiti; una patrimoniale di scopo dell’1% sui patrimoni finanziari superiori a 200.000 euro (la applica la Svizzera da almeno mezzo secolo); obbligazioni mirate. Andrebbero altresì considerate altre fonti. Ad esempio, si potrebbe offrire a cassaintegrati di lunga durata la possibilità di scegliere liberamente se lavorare a 1000-1200 euro al mese piuttosto che stare a casa a 750, a condizione che sia conservato il posto di lavoro (è possibile, con l’istituto del distacco). Qualcosa del genere andrebbe considerato per chi riceve un sussidio di disoccupazione. In questi casi l’onere per il bilancio pubblico (includendo in questo l’Inps) scenderebbe di due terzi. Infine va tenuto conto che molte imprese sarebbero interessate a utilizzare lavoratori pagando, per dire, soltanto un terzo del loro costo totale.
A.L.B.A- soggetto politico nuovo-
Luciano Gallino
CREARE DIRETTAMENTE UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO
Sgravi fiscali, investimenti in grandi opere, incentivi alle imprese perché assumano, sono poco o punto efficaci per creare rapidamente occupazione. Occorre che lo stato operi come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone.
La proposta:
diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro. (Le grandi opere non presentano né l’una né l’altra caratteristica). Progetti del genere potrebbero essere: la messa in sicurezza di edifici scolastici (oggi il 50% non lo sono); il risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate; la ristrutturazione degli ospedali (nel 70% dei casi la loro struttura non è adeguata per i modelli di cura e di intervento oggi prevalenti). Per attuare progetti del genere sarebbero richieste ogni sorta di figure professionali.
(28/4/2012)

Basic income: una opportunità di scelta per le donneMaria Grazia Campari (da www.womenews.net) – A.L.B.A-

Basic income: una opportunità di scelta per le donne –
Alleanza per il Lavoro, Beni comuni, Ambiente
A.L.B.A- soggetto politico nuovo-
Maria Grazia Campari (da
www.womenews.net)
Il basic income costituisce una garanzia sociale capace di districare il legame fra lavoro e guadagno, contribuendo alla modifica di una società imperniata su un bene fortemente sbilanciato e attualmente ridotto al lumicino, il lavoro.
La schiavitù che impedisce il pensiero su sé e sul mondo, oggetto di sperimentazione e di studio di Simone Weil, tipico prodotto dell’imperio fordista, l’ho vista attraverso l’esperienza di persone a me vicine per motivi professionali e politici.
Nonostante tutti i nostri sforzi l’ho vista estendersi ampiamente, quasi senza speranza di soluzione di continuità: ha afferrato direttamente le vite, non più come onda d’urto che si propaga, ma come urto che schiaccia direttamente.
Ecco il motivo, forse fondamentale, per cui apprezzo il basic income: come fattore di "redistribuzione della dignità" (M.R. Marella). Lo considero, infatti, come molti, una misura di dignità esistenziale – universale e incondizionata- applicabile a tutti gli esseri umani comunque sessuati.
Per le donne, tuttavia, esso presenta aspetti di interesse e problematicità che merita interrogare. Prima di tutto, perché occuparsene ora negli incontri dell’AGORA’ milanese?
Da alcuni giorni è iniziata una campagna europea per una proposta di direttiva della Commissione che vincoli gli Stati membri a introdurre la garanzia del basic income.
È l’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) prevista dall’art. 11 del Trattato Costituzionale europeo, vigente dal 1 dicembre 2009, ma dotato di regolamento ad hoc solo dallo scorso mese di aprile, che necessita della raccolta di un milione di firme in almeno 7 Stati (coinvolti attualmente sono 14 fra cui l’Italia).
Considero importante aderire per molteplici ragioni che fanno riferimento a valori e principi fondamentali della nostra civiltà giuridica, oggi largamente disattesi. Nel Titolo sui rapporti economici, all’art. 38, la Costituzione repubblicana prevede il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per i cittadini in difficoltà, diritto che va coniugato con il principio fondamentale dell’art. 3 Cost. che garantisce la partecipazione di tutti, in quanto dotati di pari dignità, all’organizzazione politica e sociale e, a tal fine, impegna la Repubblica alla rimozione degli ostacoli economici.
Anche la Carta di Nizza (ora Trattato costituzionale) all’art. 34 impegna l’Europa ad assicurare a ogni cittadino una esistenza dignitosa. Come rileva Rodotà (La Repubblica 12.5.2012) si tratta di indicazioni giuridicamente vincolanti, scomparse dalla discussione pubblica ingolfata nel riduzionismo economico.
Indicazioni che hanno eco a livello planetario nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 45) che prevede per chiunque un "tenore di vita sufficiente a garantire salute e benessere" e nel Patto Internazionale sui diritti economici e sociali approvato dall’ONU nel 1976 (art. 11).
Sollecitazioni a introdurre misure di basic income sono state fatte agli Stati membri dell’Unione europea dal Consiglio d’Europa nel 1992, dalla Commissione nel 2008, dal Parlamento nel 2011, tanto che solo Italia, Grecia e Ungheria ne sono attualmente prive. La misura proposta a livello europeo è pari al 60% di uno stipendio medio, ma essa, per ora, differisce da Stato a Stato, là dove applicata.
Si evidenzia subito un motivo di apprezzamento per lo strumento basic income: il tentativo di perseguire collettivamente un modello di Europa sociale, in contrasto con il modello finanziario di
 
Europa dei banchieri, oggi in auge.
Il fatto, poi, che lo si voglia incondizionato e universalistico determina la possibilità di creare alleanze trasversali intergenerazionali, in opposizione alla frantumazione imposta dall’attuale modello di sviluppo che unifica i mercati e frantuma le esistenze.
Un rifiuto, collettivamente espresso, alla precarietà dei giovani e all’impoverimento inesorabile dei meno giovani. (v. binitalia.org anche in alfabeta2 aprile 2012). Una ricerca di eguaglianza nella pari dignità di ogni essere umano cui deve essere garantito un tenore di vita dignitoso. Alcuni aspetti dell’istituto lo rendono favorevole alle donne.
Esso è garantito ai singoli e non alle famiglie, riguarda gli esseri umani comunque sessuati e non i nuclei di convivenza tuttora a stretta egemonia maschile, ove il marito dispone normalmente di tutti i beni in virtù del suo sesso.
Suppone che ognuna/o sia titolare di un pari diritto esistenziale, indipendentemente dalla collocazione famigliare e sociale (C: Pateman "Democrazia, diritti umani e basic income nell’era globale").
Al ristabilimento di un equilibrio sociale penserà la tassazione fortemente progressiva sui cespiti comunque acquisiti, già prevista dall’inattuato ma vigente (quindi sempre attuabile) art. 53 della Costituzione repubblicana.
È favorevole alle donne perché esse sono maggiormente disoccupate, inoccupate, sotto qualificate e sottopagate anche se dotate di laurea e di master, quando presenti nel mercato del lavoro.
È favorevole alla acquisizione di un autentico diritto di cittadinanza che non esiste per chi non abbia assicurata l’indipendenza economica, indipendenza per le donne assai problematica, allo stato.
Alla obiezione che il basic income rafforzi la tendenza femminile a lavorare per la famiglia, molte femministe rispondono che può essere così nel breve periodo finchè prevalgono stereotipi culturali tradizionali, perché i cambiamenti destano timore. Ma nel medio o lungo termine una modesta indipendenza economica rende il lavoro per il mercato una scelta autentica e determina un cambiamento di cultura.
Le donne possono considerarsi cittadine a pieno titolo anche perché viene detronizzato il lavoro per il mercato che cessa di essere l’unica cosa che conta ai fini della piena cittadinanza. (C.Pateman "Freedom and democracy")
Questo concetto risuona anche alle nostre orecchie di italiane, basta considerare gli art. 1 e 37 della Costituzione repubblicana: un trono al lavoro maschile, uno sgabello a quello femminile.
In altre parole, il basic income costituisce una garanzia sociale capace di districare il legame fra lavoro e guadagno, contribuendo alla modifica di una società imperniata su un bene fortemente sbilanciato e attualmente ridotto al lumicino, il lavoro.
Nota Kaori Katana ("Basic Income and Feminist Citizenship") che occorre chiarire un equivoco: il basic income non è un salario al lavoro domestico perché non ripaga il lavoro famigliare ma è universale e incondizionato, viene corrisposto a tutti senza considerare minimamente lo svolgimento di lavori di cura. Invece che confinare le donne nella sfera privata, potrebbe avere un effetto di trasformazione relativizzando la divisione sessuale del lavoro e, attraverso la desacralizzazione del lavoro per il mercato, costituire un incentivo per gli uomini a condividere più equamente il lavoro in famiglia prendendosi cura di se medesimi e degli altri.
Nelle giovani generazioni, l’attenuarsi, per ragioni culturali, del modello androcentrico mostra la possibilità di compiere passi avanti in tal senso, la de-mercificazione insita nel basic income fornisce ulteriori opportunità.
12|06|12

A.L.B.A- soggetto politico nuovo-Materiali di riflessione per discussione programmatica

A.L.B.A- soggetto politico nuovo-
Alleanza per il Lavoro, Beni comuni, Ambiente
Materiali di riflessione per discussione programmatica
SCHEMA PROPOSTE FIOM AVANZATE IL 9 giugno ’12
1.Legge sulla rappresentanza sindacale. L'unità sindacale sarebbe una buona cosa, ma quando non c'è - come oggi - i lavoratori debbono avere il diritto di scegliersi il sindacato e soprattutto di votare accordi e contratti che poi loro saranno chiamati a rispettare. Il rischio, altrimenti, è che le aziende si scelgano o si facciano il loro sindacato finto.
2.Cancellazione dell'art. 8. La «manovra d'agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, con questo articolo che consente agli accordi aziendali - firmati magari da sindacati di comodo - di andare «in deroga ai contratti e alle leggi». Anti-costituzionale, ma conservata da Monti.
3.No a questa riforma del mercato del lavoro. L'art. 18 è stato svuotato completamente, togliendo la possibilità reale del reintegro (al contrario di quanto sostengono sia il Pd che Susanna Camusso, ndr). Va ripristinato nella sua forma originaria ed esteso, perché da questo dipende il diritto del singolo lavoratore di poter aprire bocca e di fare il delegato senza timori. Va ridotto drasticamente il lavoro precario; introdurre il principio che a parità di lavoro e mansione ci deve essere parità di salrio e diritti.
4.Ammortizzatori sociali. Vanno estesi, non ridotti (come sta facendo il Parlamento); le risorse vanno trovate facendo pagare il contributo anche a quelle categorie economiche che oggi non hanno la cig, ecc. Reddito di cittadinanza. Un principio europeo che il nostro paese non ha mai reso attivo, che può garantire il diritto allo studio e ridurre il ricatto sul salario.
5.Pensioni. I lavori non sono tutti uguali; stare in fonderia o in corsia non è come fare il prof. universitario. Va riconosciuto il peso che hanno sulle aspettative di vita, altrimenti è una tassa sulla vita. Il «metodo contributivo» non può esser l'unico; già con Prodi si era fissato il criterio (non rispettato) di portare l'assegno pensionistico minimo almeno al 60% del salario di categoria. I soldi dei fondi pensione andrebbero investiti solo per rilanciare l'economia interna.
6.Fisco. Patrimoniale, progressività delle imposte, tassazione delle rendite finanziarie, combattere la criminalità nell'economia.
7.Occupazione. Ridurre l'orario di lavoro (come in Germania) per non perdere competenze.
8.Nuovo modello di sviluppo. Cosa, come, per chi produrre, e in modo ambientalmente sostenibile. Politica industriale. Non se ne parla più. Ma Finmeccanica (pubblica) vuol tenere solo la produzione militare e dar via tutto il civile avanzato (treni, nucleare, ecc). Riforma della scuola. Garantire parità di condizioni di partenza per aumentare la «mobilità sociale».
9.Europa. Dopo 20 anni, il sistema rischia di esplodere. Servono regole per la finanza, intervento pubblico: No al pareggio di bilancio in Costituzione.

LAVORO – LAVORI A.L.B.A- Suggestioni di Nicoletta Pirotta

LAVORO – LAVORI
Alleanza per il Lavoro, Beni comuni, Ambiente
A.L.B.A- soggetto politico nuovo-
Suggestioni di Nicoletta Pirotta
A) Il processo di globalizzazione neoliberista che ha fornito i necessari fondamenti teorici alle scelte economiche e politiche degli ultimi trent’anni
Le interpretazioni sul modello neoliberista, il dibattito sulla crisi attuale e sui suoi possibili esiti agiscono però una rimozione perché trascurano di considerare la struttura sociale di genere (
Al contrario se si osservano i processi anche da un’ottica di genere si coglierebbe molti più aspetti utili a spiegare non solo i processi avvenuti nella fase neoliberista ma anche quelli che agiscono nella crisi attuali.
Ne propongo alcuni:
 
di lavoro storicamente prerogativa delle donne (part-time, flessibilità, precarietà, bassi salari) è stato una delle caratteristiche strutturali del modello neo-liberista.
    B) La crisi del sistema neoliberista sta producendo una drastica riduzione dei posti di lavoro salariato (licenziamenti, ristrutturazioni, delocalizzazioni, chiusure di aziende) ed un aumento esponenziale del lavoro gratuito di riproduzione sociale determinato dal fatto che , dentro la crisi, i vincoli di Maastricht e la follia del pareggio di bilancio (che l’Europa chiede di mettere in Costituzione) hanno consentito gli Stati un ulteriore draconiano taglio dei sistemi pubblici dei servizi alla persona. Se proviamo a dare una prima, parzialissima forse addirittura azzardata, lettura della crisi utilizzando la categoria di "genere" possiamo intravedere alcune possibili tendenze:
    i licenziamenti femminili ( a volta "di massa" come nel caso delle lavoratrici dell’OMSA o potenzialmente di "massa" come per le fabbriche dell’indotto FIAT che producono tappezzeria per autoveicoli) tornano ad essere giustificati dal fatto che una donna può comunque tenersi occupata grazie al lavoro domestico (sic!) ;
     
    Dentro un simile contesto servirebbe costruire una soggettività sociale e politica nuova in grado di sovvertire e non accompagnare i processi in atto, agendo i conflitti necessari e non accontentandosi di restare all’interno delle compatibilità date.
    Se questa è la prospettiva propongo alcuni nodi su cui riflettere:
    si è fondato sulla costruzione del "mercato globale" caratterizzato dalla frammentazione dei luoghi di lavoro e delle filiere produttive, dal raddoppio della forza lavoro (in particolare femminile), dalla precarizzazione del lavoro , dalla forte competizione intercapitalista con il conseguente dumping sociale, dalla finanziarizzazione dell’economia, dallo svuotamento dei diritti al e del lavoro e dalla decostruzione dei sistemi pubblici di protezione sociale.inteso sia come " elemento costitutivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepibili fra donne e uomini sia come primordiale modalità di significare i rapporti di potere" secondo la definizione che ne diede, nel 1980, la torica americana Joan Wallach Scott) e quindi le persistenti diseguaglianze tra donne e uomini generate dall’intreccio dei due sistemi di potere dominanti : il patriarcato e il capitalismo.
     
    Questo processo di femminilizzazione del lavoro che deve essere inteso sia come aumento quantitativo di manodopera femminile sia come generalizzazione delle condizioni
    L’occupazione in italia fra il 1970 e il 2009 aumenta di quasi 5 milioni (da 19 milioni a 24 milioni circa) (vedi "Aspetti delle trasformazioni del lavoro nel caso italiano" di Elio Montanari e Osvaldo Squassina,) Il settore dove l’aumento è esponenziale è quello dei servizi (+152,2%). La connotazione dell’aumento non è solo settoriale ma riguarda anche le posizioni professionali sia dipendenti che indipendenti. Le/ i dipendenti sono aumentate/i significativamente (nel 1970 circa 14 milioni , il 71% del totale, nel 2009 circa 19 milioni, il 76,6% del totale) Quindi secondo i dati di Montanari/Squassina l’occupazione negli ultimi 40 anni è aumentata in modo molto significativo e questo aumento ha riguardato soprattutto le lavoratrici e i lavoratori dipendenti in particolare nel settore dei servizi. Se si desse un corpo all’astrattezza delle cifre si scoprirebbe che l’aumento occupazione ha riguardato soprattutto le donne. In ogni parte del mondo l’ occupazione femminile è aumentata progressivamente e in modo consistente, (anche se non sufficiente a colmare il gap presistente così come dimostra il rapporto della "Commissione Europea sulla parità" secondo il quale l’occupazione femminile in Europa sta ancora, al di sotto del 15% rispetto a quella maschile ). Il Rapporto dell’Osservatorio internazionale sul lavoro (Ilo) indica che il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro è aumentato dal 50,2 al 51,7% fra il 1980 e il 2008 (+1,5%), mentre il tasso maschile è diminuito passando dall’82 al 77,7%. Di conseguenza, il divario di genere nei tassi di partecipazione alla forza lavoro è sceso da 32 a 26 punti percentuali. Gli incrementi nella partecipazione femminile si sono registrati pressoché in tutte le regioni del mondo, in particolare in America Latina. Anche in Italia l’occupazione femminile è aumentata, nonostante secondo recenti dati ISTAT una solo il 46,3% delle donne lavora, a fronte del 66% della Germania e del 60% della Francia o del 71,5% dei Paesi Bassi. Nell’arco di un decennio l’incremento della partecipazione delle donne alla forza lavoro è di 2,4 milioni di unità pari all’11,8%, doppio in valore assoluto rispetto a quello maschile e triplo in percentuale.Da questo punto di vista possiamo dire che l’aumento di manodopera femminile è stato utilizzato come strumento di precarizzazione complessiva dei rapporti di lavoro ( non a caso è stata prima di tutto la forza di lavoro femminile ad essere investita dalle molteplici "moderne" forme di precarietà occupazionale: dall’assunzione a tempo determinato, al lavoro a domicilio e in affitto, al telelavoro...). L’aumento di manodopera femminile non ha per nulla scalfito antiche disuguaglianze. Le donne continuano ad essere meno pagate degli uomini, svolgono mansioni perlopiù esecutive, difficilmente sono inserite nelle èquipe dirigenziali ( in Europa, per esempio, a parità di prestazione lavorativa i salari delle donne sono inferiori di oltre il 15% rispetto a quelli maschili e solo il 32% delle donne sono manager nonostante abbiano occupato il 75% dei nuovi impieghi creati negli ultimi 5 anni). In larga misura ciò è dovuto al fatto che l’intensità della competizione globalizzata ha privilegiato soggetti privi di altre preoccupazioni se non quelle legate alla carriera, che non partoriscono e che possono permettersi il lusso di non prendersi cura nemmeno di loro stessi perché qualcun’altra lo fa per loro.Come tutti i fenomeni complessi la femminilizzazione del lavoro è stato un fenomeno contraddittorio, perché insieme ad elementi di precarizzazione consente, produce e diffonde una migliore "coscienza di genere", che ha una positiva ricaduta sull’auto-percezione delle donne. La femminilizzazione cioè ha consentito e consente di rompere, in particolare al sud del mondo, antiche segregazioni, scardinare dipendenze totali, attivizzare sul piano sindacale, sociale e politico moltissime donne e mettere in crisi le strutture più soffocanti del patriarcato;.
  1. Se si analizzano i dati utilizzando lo sguardo di genere e di classe si colgono, ulteriori, sostanziosi intrecci : in Europa, nella fascia 20/49 anni la percentuale delle donne che lavorano scende dal 75,4% al 61,1% nel caso di donne con figli. Le donne con bambini quindi lavorano meno (-11,5 punti percentuali) di quelle che non ne hanno, mentre gli uomini che sono padri lavorano più di quelli che non lo sono (+6,8 punti). Le donne che svolgono un lavoro part - time hanno figli nel 23% dei casi contro il 15,9% di quelle che non ne hanno;
     
    con le due manovre finanziare del 2011 le risorse a disposizione del sistema delle autonomie locali, (comuni, province, regioni) tra il 2011 e il 2014 verranno tagliate per più di 40 miliardi di euro. Se ai tagli si aggiungono il rispetto del trattato di Maastrick e la follia del pareggio di bilanxcio (messo addirittura in Costituzione) sarà molto probabile assistere ad un aumento esponenziale dei lavori di riproduzione sociale (e domestica) che finiranno per essere garantiti solo grazie al lavoro gratuito delle donne;
    la crisi potrebbe produrre scenari ancora più destrutturanti rispetto al modello del sistema pubblico dei servizi che avevamo conosciuto. Il taglio netto alle risorse destinate al sistema pubblico (nella misura prima descritta); i pesanti licenziamenti dovuti alla crisi che riducono ulteriormente la base materiale ( cioè il lavoro garantito) su cui si è poggiato il sistema pubblico dei servizi; il superamento del modello di salario complessivo che fa sì che pagare le tasse non serve più ad ottenere dei servizi pubblici (sanità, scuola, assistenza sociale, … ma quasi esclusivamente a contenere/sanare il debito pubblico; la difficoltà di tenuta della stessa logica sussidiaria a causa del costante affievolirsi del finanziamento pubblico costringono a mettere in discussione categorie di pensiero fondate su un modello economico , produttivo e sociale che non esiste più per ripensare uno Stato Sociale che sappia continuare a riconoscere bisogni, attivare risorse, garantire diritti.
    a)
    tenere insieme il soggetto e l’oggetto cioè, in questo caso , smettere di parlare di "lavoro" in astratto per considerare le donne e gli uomini che lavorano, i loro diritti, le loro aspirazioni, le loro fatiche, i loro sentimenti per domandarsi: cosa intendiamo per lavoro oggi? Che senso ha il lavoro nella crisi globale? Com'è cambiato il senso del lavoro? Come possiamo pensare il lavoro salariato in una prospettiva ecologica e di cura che si ponga l’obiettivo della trasformazione della società? In che modo è possibile scardinare la separazione tra il lavoro produttivo e il lavoro domestico per provare a ricomporre il lavoro considerandola un’attività umana in grado di promuovere benessere collettivo in una dimensione non alienata perché sottratta sia alla logica del profitto sia all’espropriazione del tempo per sé, operate da un genere e da una classe?
    b)
    risignificare il principio di "eguaglianza" partendo dall’idea che essa non è una norma ( le "pari opportunità" per intenderci) ma un vero e proprio processo (che "promuove pensiero", "costruisce soggettività collettive" e "pratica politica") da riempire di quel carattere conflittuale che gli ha consentito di animare le lotte delle donne ed anche degli uomini in ogni parte del mondo?
    c)
    riaffermare un "universalismo" dei diritti che non dimentichi o rimuova il/i genere/i. e contenga le contraddizioni, materiali e simboliche, fra l’eguale ed il diverso, fra l’uno ed il multiplo.
     
    secondo un’indagine di Isfol curata da Marco Centra e pubblicato nel 2010, il 40,8% delle donne che hanno lasciato l’attività lavorativa dichiara di averlo fatto per prendersi cura dei figli, dedicarsi esclusivamente alla famiglia, accudire persone non autosufficienti;
    nella sua relazione agli Stati Generali sul lavoro delle donne in Italia, organizzata dal CNEL nel febbraio 2012, Linda Laura Sabbatini, dimostra che nelle coppie di occupati le donne tra i 25 e i 44 anni lavorano in totale 53 minuti in più dei loro partner , che il divario cresce in presenza di fliglie/i e che in ogni caso il 71,9% delle ore dedicate al lavoro famigliare (lavoro domestico, di cura, di acquisti di benu e servizi) è a carico delle donne. Sabbatini dimostra altresì che l’asimmetria di carichi di lavoro familiare è diminuita negli ultimi 20 anni di 12 punti in percentuale. Però poiché sono più i tagli operati dalle donne che dagli uomini (1 minuto all’anno!) è probabile che questo abbassamento dell’asimmetria non si è determinato per un aumento dei carichi di lavoro maschile ma per l’utilizzo di figure quali le colf e le badanti. Cioè di altre donne.