lunedì 25 giugno 2012

LAVORO – LAVORI A.L.B.A- Suggestioni di Nicoletta Pirotta

LAVORO – LAVORI
Alleanza per il Lavoro, Beni comuni, Ambiente
A.L.B.A- soggetto politico nuovo-
Suggestioni di Nicoletta Pirotta
A) Il processo di globalizzazione neoliberista che ha fornito i necessari fondamenti teorici alle scelte economiche e politiche degli ultimi trent’anni
Le interpretazioni sul modello neoliberista, il dibattito sulla crisi attuale e sui suoi possibili esiti agiscono però una rimozione perché trascurano di considerare la struttura sociale di genere (
Al contrario se si osservano i processi anche da un’ottica di genere si coglierebbe molti più aspetti utili a spiegare non solo i processi avvenuti nella fase neoliberista ma anche quelli che agiscono nella crisi attuali.
Ne propongo alcuni:
 
di lavoro storicamente prerogativa delle donne (part-time, flessibilità, precarietà, bassi salari) è stato una delle caratteristiche strutturali del modello neo-liberista.
    B) La crisi del sistema neoliberista sta producendo una drastica riduzione dei posti di lavoro salariato (licenziamenti, ristrutturazioni, delocalizzazioni, chiusure di aziende) ed un aumento esponenziale del lavoro gratuito di riproduzione sociale determinato dal fatto che , dentro la crisi, i vincoli di Maastricht e la follia del pareggio di bilancio (che l’Europa chiede di mettere in Costituzione) hanno consentito gli Stati un ulteriore draconiano taglio dei sistemi pubblici dei servizi alla persona. Se proviamo a dare una prima, parzialissima forse addirittura azzardata, lettura della crisi utilizzando la categoria di "genere" possiamo intravedere alcune possibili tendenze:
    i licenziamenti femminili ( a volta "di massa" come nel caso delle lavoratrici dell’OMSA o potenzialmente di "massa" come per le fabbriche dell’indotto FIAT che producono tappezzeria per autoveicoli) tornano ad essere giustificati dal fatto che una donna può comunque tenersi occupata grazie al lavoro domestico (sic!) ;
     
    Dentro un simile contesto servirebbe costruire una soggettività sociale e politica nuova in grado di sovvertire e non accompagnare i processi in atto, agendo i conflitti necessari e non accontentandosi di restare all’interno delle compatibilità date.
    Se questa è la prospettiva propongo alcuni nodi su cui riflettere:
    si è fondato sulla costruzione del "mercato globale" caratterizzato dalla frammentazione dei luoghi di lavoro e delle filiere produttive, dal raddoppio della forza lavoro (in particolare femminile), dalla precarizzazione del lavoro , dalla forte competizione intercapitalista con il conseguente dumping sociale, dalla finanziarizzazione dell’economia, dallo svuotamento dei diritti al e del lavoro e dalla decostruzione dei sistemi pubblici di protezione sociale.inteso sia come " elemento costitutivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepibili fra donne e uomini sia come primordiale modalità di significare i rapporti di potere" secondo la definizione che ne diede, nel 1980, la torica americana Joan Wallach Scott) e quindi le persistenti diseguaglianze tra donne e uomini generate dall’intreccio dei due sistemi di potere dominanti : il patriarcato e il capitalismo.
     
    Questo processo di femminilizzazione del lavoro che deve essere inteso sia come aumento quantitativo di manodopera femminile sia come generalizzazione delle condizioni
    L’occupazione in italia fra il 1970 e il 2009 aumenta di quasi 5 milioni (da 19 milioni a 24 milioni circa) (vedi "Aspetti delle trasformazioni del lavoro nel caso italiano" di Elio Montanari e Osvaldo Squassina,) Il settore dove l’aumento è esponenziale è quello dei servizi (+152,2%). La connotazione dell’aumento non è solo settoriale ma riguarda anche le posizioni professionali sia dipendenti che indipendenti. Le/ i dipendenti sono aumentate/i significativamente (nel 1970 circa 14 milioni , il 71% del totale, nel 2009 circa 19 milioni, il 76,6% del totale) Quindi secondo i dati di Montanari/Squassina l’occupazione negli ultimi 40 anni è aumentata in modo molto significativo e questo aumento ha riguardato soprattutto le lavoratrici e i lavoratori dipendenti in particolare nel settore dei servizi. Se si desse un corpo all’astrattezza delle cifre si scoprirebbe che l’aumento occupazione ha riguardato soprattutto le donne. In ogni parte del mondo l’ occupazione femminile è aumentata progressivamente e in modo consistente, (anche se non sufficiente a colmare il gap presistente così come dimostra il rapporto della "Commissione Europea sulla parità" secondo il quale l’occupazione femminile in Europa sta ancora, al di sotto del 15% rispetto a quella maschile ). Il Rapporto dell’Osservatorio internazionale sul lavoro (Ilo) indica che il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro è aumentato dal 50,2 al 51,7% fra il 1980 e il 2008 (+1,5%), mentre il tasso maschile è diminuito passando dall’82 al 77,7%. Di conseguenza, il divario di genere nei tassi di partecipazione alla forza lavoro è sceso da 32 a 26 punti percentuali. Gli incrementi nella partecipazione femminile si sono registrati pressoché in tutte le regioni del mondo, in particolare in America Latina. Anche in Italia l’occupazione femminile è aumentata, nonostante secondo recenti dati ISTAT una solo il 46,3% delle donne lavora, a fronte del 66% della Germania e del 60% della Francia o del 71,5% dei Paesi Bassi. Nell’arco di un decennio l’incremento della partecipazione delle donne alla forza lavoro è di 2,4 milioni di unità pari all’11,8%, doppio in valore assoluto rispetto a quello maschile e triplo in percentuale.Da questo punto di vista possiamo dire che l’aumento di manodopera femminile è stato utilizzato come strumento di precarizzazione complessiva dei rapporti di lavoro ( non a caso è stata prima di tutto la forza di lavoro femminile ad essere investita dalle molteplici "moderne" forme di precarietà occupazionale: dall’assunzione a tempo determinato, al lavoro a domicilio e in affitto, al telelavoro...). L’aumento di manodopera femminile non ha per nulla scalfito antiche disuguaglianze. Le donne continuano ad essere meno pagate degli uomini, svolgono mansioni perlopiù esecutive, difficilmente sono inserite nelle èquipe dirigenziali ( in Europa, per esempio, a parità di prestazione lavorativa i salari delle donne sono inferiori di oltre il 15% rispetto a quelli maschili e solo il 32% delle donne sono manager nonostante abbiano occupato il 75% dei nuovi impieghi creati negli ultimi 5 anni). In larga misura ciò è dovuto al fatto che l’intensità della competizione globalizzata ha privilegiato soggetti privi di altre preoccupazioni se non quelle legate alla carriera, che non partoriscono e che possono permettersi il lusso di non prendersi cura nemmeno di loro stessi perché qualcun’altra lo fa per loro.Come tutti i fenomeni complessi la femminilizzazione del lavoro è stato un fenomeno contraddittorio, perché insieme ad elementi di precarizzazione consente, produce e diffonde una migliore "coscienza di genere", che ha una positiva ricaduta sull’auto-percezione delle donne. La femminilizzazione cioè ha consentito e consente di rompere, in particolare al sud del mondo, antiche segregazioni, scardinare dipendenze totali, attivizzare sul piano sindacale, sociale e politico moltissime donne e mettere in crisi le strutture più soffocanti del patriarcato;.
  1. Se si analizzano i dati utilizzando lo sguardo di genere e di classe si colgono, ulteriori, sostanziosi intrecci : in Europa, nella fascia 20/49 anni la percentuale delle donne che lavorano scende dal 75,4% al 61,1% nel caso di donne con figli. Le donne con bambini quindi lavorano meno (-11,5 punti percentuali) di quelle che non ne hanno, mentre gli uomini che sono padri lavorano più di quelli che non lo sono (+6,8 punti). Le donne che svolgono un lavoro part - time hanno figli nel 23% dei casi contro il 15,9% di quelle che non ne hanno;
     
    con le due manovre finanziare del 2011 le risorse a disposizione del sistema delle autonomie locali, (comuni, province, regioni) tra il 2011 e il 2014 verranno tagliate per più di 40 miliardi di euro. Se ai tagli si aggiungono il rispetto del trattato di Maastrick e la follia del pareggio di bilanxcio (messo addirittura in Costituzione) sarà molto probabile assistere ad un aumento esponenziale dei lavori di riproduzione sociale (e domestica) che finiranno per essere garantiti solo grazie al lavoro gratuito delle donne;
    la crisi potrebbe produrre scenari ancora più destrutturanti rispetto al modello del sistema pubblico dei servizi che avevamo conosciuto. Il taglio netto alle risorse destinate al sistema pubblico (nella misura prima descritta); i pesanti licenziamenti dovuti alla crisi che riducono ulteriormente la base materiale ( cioè il lavoro garantito) su cui si è poggiato il sistema pubblico dei servizi; il superamento del modello di salario complessivo che fa sì che pagare le tasse non serve più ad ottenere dei servizi pubblici (sanità, scuola, assistenza sociale, … ma quasi esclusivamente a contenere/sanare il debito pubblico; la difficoltà di tenuta della stessa logica sussidiaria a causa del costante affievolirsi del finanziamento pubblico costringono a mettere in discussione categorie di pensiero fondate su un modello economico , produttivo e sociale che non esiste più per ripensare uno Stato Sociale che sappia continuare a riconoscere bisogni, attivare risorse, garantire diritti.
    a)
    tenere insieme il soggetto e l’oggetto cioè, in questo caso , smettere di parlare di "lavoro" in astratto per considerare le donne e gli uomini che lavorano, i loro diritti, le loro aspirazioni, le loro fatiche, i loro sentimenti per domandarsi: cosa intendiamo per lavoro oggi? Che senso ha il lavoro nella crisi globale? Com'è cambiato il senso del lavoro? Come possiamo pensare il lavoro salariato in una prospettiva ecologica e di cura che si ponga l’obiettivo della trasformazione della società? In che modo è possibile scardinare la separazione tra il lavoro produttivo e il lavoro domestico per provare a ricomporre il lavoro considerandola un’attività umana in grado di promuovere benessere collettivo in una dimensione non alienata perché sottratta sia alla logica del profitto sia all’espropriazione del tempo per sé, operate da un genere e da una classe?
    b)
    risignificare il principio di "eguaglianza" partendo dall’idea che essa non è una norma ( le "pari opportunità" per intenderci) ma un vero e proprio processo (che "promuove pensiero", "costruisce soggettività collettive" e "pratica politica") da riempire di quel carattere conflittuale che gli ha consentito di animare le lotte delle donne ed anche degli uomini in ogni parte del mondo?
    c)
    riaffermare un "universalismo" dei diritti che non dimentichi o rimuova il/i genere/i. e contenga le contraddizioni, materiali e simboliche, fra l’eguale ed il diverso, fra l’uno ed il multiplo.
     
    secondo un’indagine di Isfol curata da Marco Centra e pubblicato nel 2010, il 40,8% delle donne che hanno lasciato l’attività lavorativa dichiara di averlo fatto per prendersi cura dei figli, dedicarsi esclusivamente alla famiglia, accudire persone non autosufficienti;
    nella sua relazione agli Stati Generali sul lavoro delle donne in Italia, organizzata dal CNEL nel febbraio 2012, Linda Laura Sabbatini, dimostra che nelle coppie di occupati le donne tra i 25 e i 44 anni lavorano in totale 53 minuti in più dei loro partner , che il divario cresce in presenza di fliglie/i e che in ogni caso il 71,9% delle ore dedicate al lavoro famigliare (lavoro domestico, di cura, di acquisti di benu e servizi) è a carico delle donne. Sabbatini dimostra altresì che l’asimmetria di carichi di lavoro familiare è diminuita negli ultimi 20 anni di 12 punti in percentuale. Però poiché sono più i tagli operati dalle donne che dagli uomini (1 minuto all’anno!) è probabile che questo abbassamento dell’asimmetria non si è determinato per un aumento dei carichi di lavoro maschile ma per l’utilizzo di figure quali le colf e le badanti. Cioè di altre donne.

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